martedì 6 agosto 2013

Indimenticabili traumi infantili

 

"Della storia d'amore nata tra un mio amico e la sua 'conca' mi sfugge un particolare: 'Ma esattamente, come avete fatto a conoscervi? Amici in comune? eheh' Mannagghia tua! Sta cosa è troppo divertente!"


Quando arrivava più o meno mezzogiorno al solito ero da mia zia. All'epoca eseguivo i suoi ordini a bacchetta: in cambio lei ogni giorno inconsapevolmente mi insegnava un po' di dialetto che a casa era invece 'proibito'. In famiglia dava fastidio non il dialetto in se, penso, ma il fatto che il parlarlo avrebbe potuto nuocere al mio italiano, che in quegli anni era ancora in costruzione diciamo - l'opera non è mai giunta a compimento, eheh. Quando arrivavano le 12.15, al solito, un rombo proveniente dalla via Colombo riempiva l'aria in un istante. Ad un certo punto, la mitica 850 bianca del nonno tagliava la linearità dell'orizzonte che si forma guardando la via Colombo in direzione della pineta e nessun abitante della parte alta di tale via rimaneva indifferente al suo passaggio. E quel fracasso che faceva attirava tutti sui balconi, tanto che sicuramente il più delle volte mio nonno si sarà sentito più che importante travolto dagli sguardi della gente. Sorpassato l'incrocio con via Caduti per la Patria, l'850 iniziava un lunghissimo e buffo processo di frenata, rigorosamente in folle, che culminava di fronte al garage della zia, dove, in vestito di gala, ovvero in ciabatte e pantaloncini, sotto un sole cuocente, ero pronto ad accoglierlo e aiutarlo a scaricare i secchi pieni taluni di attrezzi, altri di verdura o uva. In realtà alcune volte la sua 'frenata controllata' andava a finire ben oltre il punto sulla perpendicolare al garage, sicché toccava buffamente rincorrerlo sperando che ad un certo punto si accorgesse di aver superato l'arrivo e frenasse prima di voltare su Viale della Libertà, e allo stesso tempo mi riconoscesse, mentre lo inseguivo, e non mi prendesse per uno che gli volesse ciulare l'auto, anche perché era solito portare un fucile a bordo, che negli ultimi anni fu poi sostituito da uno a pallini per precauzione. Eheh. Lui scendeva al solito stra adirato, e non poteva essere che così contando che aveva passato una mattinata sotto il sole cuocente, e me guardava come un pugile guarda solitamente il suo sacco. Non vedeva l'ora praticamente de sfogarsi con qualcuno, ma al solito la zia anticipava qualsiasi sua possibile escandescenza ed era pronta con la solita bacinella blu di plastica piena d'acqua che sembrava aver il potere di calmarlo di botto.

In quegli anni, se ricordo bene, sebbene fossi ancora attratto dal piccolo trattore dello zio - tutto colorato di rosso doveva attrarmi per forza! -, iniziavo pian piano ad apprezzare di più quella bianca 850. E di pari passo era una delle cose che col cugino iniziavamo ad avere in comune - oltre la stupidità dico, eheh. Così nei pomeriggi di estate degli anni successivi, dopo mangiato, quando si soleva giocare all'ombra a carte sull'uscio di casa de mi zia, di fronte al quale la 850 era di solito parcheggiata, si provava la fortuna: si saliva a bordo, l'auto rimaneva non so perché sempre aperta, e si sperava ci fossero ancora le chiavi inserite nel pannello. Una sola volta fummo baciati dalla fortuna e, sebbene avessi una paura indescrivibile delle possibili conseguenze, sia sull'auto - avevo 13-14 anni quando successe e ignoravo l'esistenza della frizione, sebbene a quell'età c'era gente al paese che guidava auto ormai da almeno un lustro -, sia sulla mia salute fisica - una volta provato ad accenderla se scoperto, ed ovviamente davo per scontato che accadesse, visto il fracasso che faceva quando si trovava in moto, le avrei prese di santissima ragione -, ovviamente fui io a tentare, anche se non avessi neanche pensato a cosa fare dopo l'accensione - in caso contrario non si sarebbe fatto nulla... eheh. Niente. Così ero li, seduto sul sedile rosso in pelle, con i soliti santini-calamita incollati sul cruscotto, le zappe, i secchi e i rastrelli sul sedile posteriore, con la solita terra sotto i sedili. Ma questa volta avevo una chiave in mano - e non era la solita chiave di casa che si tentava invano ed ingenuamente di far entrare nella feritoia, eheh - che mi dava una sensazione diversa rispetto alle altre migliaia di volte in cui mi era già capitato di salire a bordo di quell'auto. Al solito mio cugino non volle rischiare e anzi scese dall'auto in fretta e furia e cominciò a ripetermi, pericolosamente davanti al cofano, ora che ci ripenso: 'Be, cazzi tua poi! Io te lo dico!' - se non ricordo male doveva esserci anche il mio fratellino... mbo. Sta di fatto che cascasse il mondo dovevo farlo, non c'erano santi! Girai una prima volta, una seconda. Fece due rumori strani e capii che sarebbe stato necessario pigiare qualche bottone o qualche pedale. Mio cugino si fece da parte, quasi incuriosito, e si accostò al finestrino. Io ragionai un attimo e girai di nuovo la chiave spingendo giù, a caso, il pedale di destra con gran forza. Ebbi una scarica di adrenalina memorabile. Iniziammo a ridere come delle iene, scesi e corremmo via sicuri di averla fatta veramente grossa. Il fatto poi che nessuno nei 15 minuti successivi avesse sentito nulla, ci fece bollare quel gesto per anni come una cavolata da ricordare come una specie di vittoria. Ebbe così un sapore più che amaro scoprire più tardi che semplicemente, essendo inserita la prima marcia, l'auto ebbe solo un forte sussulto e si rispense. E noi che pensavamo l'avessimo rotta...

Qualche anno più il la, ormai patentati, ci fu comunque vietata assolutamente la possibilità di fare un giro sulla 850. Lo stesso nonno cominciò a portare le chiavi perennemente in tasca avendo forse capito dai nostri sguardi ciò che volevamo da lui. Quando avevo quasi ormai perso le speranze, raggiunti forse i 19 anni, ecco che una sera ricevetti l''ordine' di mi zia di andare a 'puzzu uelu' a prendere il nonno. A quei tempi andava sempre mio zio a prenderlo perché non poteva più guidare, forse per via della vista, non ricordo. Così io presi quel l''ordine' con estremo piacere e per tutto il tragitto da casa alla suddetta contrada non riuscivo a pensar ad altro che al fatto che finalmente avrei potuto guidarla. Arrivai, chiamai a raccolta il nonno e rimasi in attesa delle chiavi. Ebbene non me le diede. In compenso, forse per non farsi beccare, non so, dovetti passare i 5 minuti più brutti della mia vita, con il nonno che non volle sentire ragioni, si mise alla guida e assunse lo sguardo tipico di Jack Nicholson in Shining. Percorremmo il tratto 'puzzu uelu'-casa in un tempo record, mentre penso di aver avuto qualcosa come tre-quattro attacchi di panico - per non dire altro - ed arrivai che avevo perso di certo tutta l'abbronzatura. Ripresi fiato, scesi, badando per la prima volta in tutta la mia vita ad ancorare per bene i piedi al terreno, e rientrando in garage mi preoccupai di scandire per bene alla zia le seguenti parole: 'Io il nonno non lo vo più a prende!'

B.M.



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