lunedì 6 gennaio 2014

Un rozzo intermezzo

 

"Alle volte capita di passare del tempo in libreria. O meglio, il più delle volte capita per sbaglio di entrarci. La prima volta che ci misi piede, non molto tempo fa, mi colpì la mole di gente seduta a leggere, con la evidente voglia in tasca di spendere i propri spiccioli: si, una voglia simile a quella del più tirchio dei genovesi. Mi colpì ancor di più quell'uomo pelato che, da quello stesso giorno, tornò periodicamente con l'idea di leggere qualcuno dei classici presenti senza pagare alcunché. Alle volte l'ho visto comprare, ma son pronto a scommettere che nessuno di quei libri sarà rimasto nella sua casa per più di un singolo giorno. Li avrà sicuramente regalati in giro, per qualche compleanno, per qualche laurea. Avrà ostentato sicurezza, mentre dimostrava la conoscenza di alcuni passaggi, e, certamente ammaliato, da parte sua l'interlocutore avrà gentilmente accompagnato un suo sbadiglio con le parole 'lo leggerò sicuramente!', mentre non troppo cautamente passava già a scartare qualche altro più promettente dono. Sto leggendo un libro. Lo sto leggendo quasi certamente perché mi è costato una cifra irrisoria, quasi ridicola. Una ferita portata al mio portafogli che si rimarginerà saltando, mio malgrado, per cinque giorni il solito, ma smisuratamente amato, cappuccino mattutino.
Sto leggendo le prime frasi di un bel romanzo del celebre Oscar Wilde. Mi trovo d'accordo su tutto. Rivedo certi miei ragionamenti infantili, ma divertenti, di quando io e mio cugino ci domandavamo ad esempio per quale ragione esistessero le persone esteticamente brutte, scervellandoci sulle possibili cause. Ovviamente, forse per non soffrire il discorso, noi si parlava della bellezza 'da adulti', diciamo così. Wilde non fa che ricalcare le nostre conclusioni. Le persone che pensano per la maggior parte del loro tempo sono condannate a diventare brutte, concludemmo. Da quel ragionamento mio cugino smise, in tutto o in parte, di pensare ad alcunché, eheh, e di pari passo smisero al contempo le nostre ore divertenti di dormiveglia dedicate a disquisire di varie cazzate. L'altissimo Oscar siede ora come un bebè sulle mie ginocchia ed il suo incessante bisogno di cure inizia a disturbarmi. Leggo ancora e mi fa strano trovare alcune frasi concepite male, si sente! Assomigliano a molte di quelle che, per la loro scellerata bruttezza, scelgo di eliminare dagli umili e di certo molto meno eleganti miei post. Mentre le leggo mi chiedo come mai non abbia fatto lo stesso lui. Sembra come se il traduttore fosse inciampato in alcuni casi sui pezzi di un ignoto autore e li avesse inseriti inavvertitamente nell'opera del piccolo Oscar. È vero anche che, per 5 miseri euri, potrebbero aver dato in pasto il testo a Google, anche se quest'ipotesi è molto inverosimile: non si spiegherebbe la correttezza del restante 90% della traduzione. Concludo il primo capitolo scandalizzato dalle tante imprecisioni e dalle piccole ed ammiccanti 'puttanate' scorte. 'Peccato! Mi toccherà regalare anche questo!', concludo nella mia mente adagiando il libro sulla parte destra del mio letto prima di assopirmi nel tepore della mia piccola stanza."

È quasi la vigilia di Natale, le persone corrono per le vie dei negozi in cerca degli ultimi regali. Sono passate le 17. Ormai quelle dei lampioni e delle luminarie sono le uniche luci che il vecchio musicista può osservare, seduto sempre sullo stesso angolo del marciapiede. Le sue labbra rigonfie e doloranti hanno costretto al silenzio il suo sassofono ormai da qualche ora, mentre il freddo pungente, quello di ogni sera, si fa spazio tra le due coperte che non riescono più evidentemente a tenerlo caldo. Il suo sguardo triste incontra ancora una volta il luccichio di quel suo strumento, una lacrima scende fin sulle sue labbra, si stacca dal viso e piomba sul freddo ottone giallo. Di scatto il vecchio preoccupatosi strofina la parte interessata con i guanti per poi rassicurarsi e stringere lo strumento al proprio petto. È il tenero e premuroso abbraccio di un padre verso il proprio figlio, quello di due amici che non si vedono da una vita, quello di due amanti... Assistendo a quell'attimo la mia granitica impassibilità viene meno, sento addirittura riempirsi le borse sotto gli occhi, tanto che a stento riesco a trattenere le mie di lacrime. Mi avvicino, poggio due euro frettolosamente nella custodia aperta del suo strumento e quello ringraziandomi mi chiede quale pezzo voglia ascoltare. 'Nessuno, non si preoccupi', ribadisco un paio di volte. Così mi congedo alzando impacciato una mano e mi allontano, devo dire sentendomi discretamente orgoglioso per il mio seppur piccolo gesto.

Ah, il caro buon vecchio sassofonista barbone! Bazzica sempre dalle parti del Duomo, di Via Vittorio Emanuele, di piazza dei mercanti. Anzi, ultimamente più in quest'ultima, spinto fin la a spallate dalla concorrenza di un altro, con cui non ha nulla a che spartire debbo dire. Seduto, quasi sdraiato sul pavimento, mai veramente ubriaco, come qualcuno potrebbe pensare, e con due polmoni grandi quanto 'na casa. Dà sempre l'impressione di suonare con sentimento, con passione sembra abbandonarsi perdutamente a qualche folata di vento, all'ispirazione portata da una bella ragazza che passa di li in un dato momento. Le sue amate successioni ripetute di tre note discendenti tradiscono forse passati studi da clarinettista, ma di certo non stanno male anche in bocca ad un sassofonista. L'imprevedibilità di quelle sembra volermi ricordare che esiste ancora, e forse esisterà sempre nonostante tutto, qualcosa di originale, di nuovo, di inascoltato. Distoglie, come poche altre cose o persone, il mio pensiero dalla lugubre ed assillante idea di prevedibilità che da un po' di tempo a questa parte ho dell'intero mondo. La sua ricerca ostinata di nuove melodie non è poi così diversa dal mio inseguire quegli sprazzi di follia che mi regalano sempre, o quasi, giornate diverse e mi incita a non perdere la fame di novità, e perché no, di creatività, di cui da sempre soffro maledettamente. Ah, il caro buon vecchio sassofonista barbone! Il suo suono essenziale, ma corposo, non ha bisogno di accompagnamento. Il brusio derivante dal chiacchiericcio della gente ed il rumore che risale dai mezzi magicamente si assottigliano e quasi si spengono, non volendo disturbare. Sarà forse questo che paradossalmente fa riconoscere alla tanta gente il suo valore, la capacità cioè di creare piccoli, o grandi che siano, silenzi, intervalli in cui sono lontani tutti i nostri più assordanti quanto logoranti pensieri?

B.M.



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